SEO Guru

Ottimizzare la narrazione

Nella rincorsa semantica verso gli inglesismi della comunicazione pubblicitaria, online e non solo, si rischia sempre di perdere di vista il vero significato delle parole stesse, e a maggior ragione spesso sfugge l’effettiva funzione che queste dovrebbero svolgere nel momento in cui le utilizziamo per strutturare la nostra aspettativa, per modulare il nostro ordine mentale fatto di simboli e riferimenti.

Capita che si sovrappongano percorsi di significato asincroni, che vadano fondendosi attività antichissime e rifinite ad altre utra-moderne, apparentemente sempre in via di definizione e rivistazione professionale ininterrotta.

L’eterna diatriba sul presunto e ricorsivo funerale della SEO ripercorre incessantemente questa contraddizione, volta per volta dipingendosi con i colori dell’ultima trovata algoritmica targata Google, come se il binomio Google/SEO fosse destinato ad avvitarsi in un sistema chiuso e autoreferenziale, senza alcuna connessione con la realtà di contesto effettiva, che naturalmente è appena più complessa e meno claustrofobica di quello che potrebbe sembrare alla luce di una rappresentazione tanto manieristica e ipersemplificata.

Vero è invece che il complesso dei saperi necessari per incidere sulle metriche web di un qualsiasi progetto di comunicazione online sta via via abbandonando quei contorni approssimativi e ‘smanettomani’ da cui pure aveva tratto buona parte del suo ‘spirito critico’ iniziale, per affidarsi invece a strumenti analitici sempre più sofisticati e specialistici, generando al contrario effettive professionalità ultraspecializzate, forgiando mestieri ad hoc per alimentare quell’immenso e complicatissimo media che ha rivoluzionato la comunicazione pubblica mondiale a partire dalla fine dello scorso millennio.

Nella babele di qualifiche professionali 2.0 volevo provare a spendere una riflessione su alcuni orientamenti della scrittura pubblicitaria, e non solo, che vengono molto spesso in contatto con l’universo-mondo di un comune e avveduto seo specialist o responsabile search marketing che dir si voglia.

Il copywriting nel vero senso del termine

Fare copywriting non significa scrivere, evidentemente; anche se a mio avviso una traduzione letterale della semantica originale del termine inglese copywriter è proprio quella del generico autore, che infatti in italiano è un termine assai flessibile nei suoi vari campi di applicazione, dal giornalismo all’editoria, alla televisione.

Ma tradizionalmente il copywriting è un’attitudine della scrittura pubblicitaria ben consolidata e professionalmente radicata, ben lontana dal potersi tradurre con la semplicissima – e pure indifferenziata – attività di colui o colei ‘che scrive’, genericamente e senza specifiche addittive.

Il copywriter nelle agenzie pubblicitarie pre-internet, e tendenzialmente anche nelle attuali, direi, è colui o colei che scrive testi con scopi pubblicitari, non altro.

Il ‘copy‘ mette il testo necessario per confezionare il prodotto pubblicitario, attraverso uno standard discorsivo che tendenzialmente guarda alla comunicazione d’impresa, più o meno direttamente focalizzata sul prodotto, sulla sua penetrazione pubblica e sull’eventuale generazione di desiderio pubblico intorno allo specifico bene-servizio.

La ‘coppia creativa‘ di base per le attività naturali di un’agenzia pubblicitaria – tradizionale o 2.0 che sia – prevede la collaborazione tra il paroliere, ovvero il ‘copy’, e il designer, o l’art director, che evidentemente cura gli aspetti di comunicazione non verbale insiti in qualsiasi messaggio pubblicitario, a prescindere dal mezzo di comunicazione in cui questo verrà effettivamente veicolato.

Il modello di scrittura di un buon copywriter dovrebbe essere in questo senso rivolto ad un registro esplicitamente ‘pubblicitario’: ovvero assertivo ed esplicito, capace di modulare le svariate esigenze espressive delle diverse aziende committenti attraverso chiavi e formule di un linguaggio pubblico che sia immediatamente spendibile sul mercato, pronto per raggiungere il vastissimo mondo dei consumatori.

Cazzo dici?

Questa ‘attitudine della penna‘ dove e quando si declina e si incontra con il magico e frenetico mondo della seo e dell’internet marketing?

Quando stiamo facendo copywriting, in effetti?

Propongo tre tra le attività più comuni:

Scrivere i testi per le cosiddette ‘pagine istituzionali’ di un sito internet aziendale

Scrivere testi per le landing page legate alla vendita, o a vario titolo alla ‘conversione’

Scrivere i testi per le inserzioni pubblicitarie che molto probabilmente sosterranno le iniziative commerciali del sito, volendosi avventurare nello strabiliante mondo del pay-per-click nelle sue varie declinazioni

E’ possibile ed anzi doveroso scrivere questo genere di testi con la stessa tradizionalissima attitudine del copywriter pubblicitario pre-internet, salvo naturalmente adeguare forme, lemmi e strategie agli imperativi della ‘keyword, che ormai è un concetto ben sdoganato a qualsiasi livello di percezione del web, come entità informativa complessa.

Ma – algoritmo di Google a parte – toni e scopi del copywriting applicato al web in questi tre casi potrebbero tranquillamente emulare gli antichi cugini della classica comunicazione pubblicitaria, i vecchi copy d’agenzia insomma, senza rischiare di prendere cantonate clamorose.

Tutto sommato:

La maggior parte dei siti aziendali adotta una comunicazione d’impresa abbastanza tradizionale, più o meno ricalcata da modelli espressivi precedenti e almeno nelle sue pagine pubbliche più esposte;

I prodotti rimangono al centro dei desideri di visibilità delle aziende che si esprimono sul web, e il modello della ‘vetrina online’ rimane ineliminabile nell’immaginario e nelle aspettative degli imprenditori;

– Tra declinazione delle keywords e imperante necessità di sintesi, il pay per click è – a mio modesto avviso – un settore in cui è impossibile lavorare senza aver ben chiare le basi del ‘copywriting classico poco sopra sinteticamente – e maldestramente – definito.

Ibridazioni del giornalismo ed evoluzione del copy: il blogger

L’idea del blog ha talmente pervaso la comunicazione e la rappresentazione pubblica del web da essersi imposta come totem indeclinabile, che sfugge – agli occhi della maggior parte della gente – da qualsiasi comprensione via via meno indeterminata o idealistica.

Cos’è un blog e che mestiere fa il blogger?

Potremmo scrivere centinaia di post in merito senza necessariamente configurare qualcosa che si avvicini sia pur minimamente ad una definizione pubblica e condivisa di questa particolare ‘attitudine della penna‘, tanto diffusa quanto indubbiamente soggetta – e soggetto – di uno straordinario cambiamento nei modelli macroscopici della comunicazione e dell’informazione pubblica.

Il blogger tiene e mantiene attiva una rubrica periodica tematizzata, scrive e anima dibattito e discussioni intorno ad un argomento, esprime opinioni informate e aggiornate, nutre di contenuti i suoi lettori quotidiani.

Perfetto. Rispetto alla comunicazione ‘statica‘ del tradizionale copywriter, che informa pubblicamente con toni assertivi, una volta per tutte, che comunica in bello stile quelle che sono le doti e le caratteristiche di un’azienda o di un prodotto, il blogger tende verso una comunicazione necessariamente ‘dinamica‘.

Da un blog ci aspettiamo una scrittura in perenne divenire, una narrazione scadenzata soggetta a continue conferme ed aggiornamenti puntuali.

Il blogger espone i suoi scritti ad un’interazione necessariamente più orizzontale, fatte salve le distinzioni tra scrivente e lettore, rispetto al modello di comunicazione verticale che naturalmente siamo disposti a concedere alle pagine istituzionali di un sito aziendale, tanto per tornare al mio esempio concreto.

In tutto questo un seo specialist sa benissimo che un buon blogger è un’arma strategica per la generazione e l’allargamento del traffico in ingresso su sito: la narrazione fatta attraverso il blog è una leva di content marketing sempre più indispensabile, cui è impossibile sottrarsi pena la totale vacuità di qualsiasi strategia di presenza organica, su Google e non solo su Google.

Story-che?

Seguendo via via le approssimazioni semantiche potremmo dire che un buon blogger che sia impiegato – ad esempio – al soldo di un blog aziendale dovrebbe sforzarsi di inserire prodotti e brand nel suo panino narrativo‘ di lungo periodo.

Escluse quindi le illustri accezioni legate al tema del citizen journalism e dell’informazione indipendente, che per ovvie ragioni in quest’analisi vengono messe da parte, il blogger è l’autore della narrazione pubblica che si potrebbe voler utilizzare in una matura strategia di web marketing.

Una narrazione in continuo work in progress che deve naturalmente discostarsi dalla descrizione pedissequa del prodotto promosso, ma concentrarsi invece sul contesto sociale in cui quel determinato bene viene consumato-condiviso-e-prodotto.

Una narrazione che può concentrarsi sulla generazione del bisogno, sia esso latente o totalmente ricavato dal nulla, sulla costruzione identitaria del ‘perfetto consumatore’ rispondente a vario titolo agli appelli dell’affabulazione pubblicitaria, ovviamente targetizzata, segmentata e modellata secondo gusti e dimensioni del mercato di riferimento.

Utilizzare la tecnica dello storytelling per orientare la linea editoriale dei blog aziendali, quindi, e strutturare una coda lunga di desideri e aspettative che sia in grado di riprendere i toni assertivi e sintetici delle tradizionali ‘schede-prodotto’ avvolgendoli di un fascino e di una potenza espressiva decisamente più adeguate ai nuovi modelli della comunicazione pubblica, soprattutto online.

Storytelling di prodotto‘ dovrebbe essere il prossimo inglesismo che dovreste pretendere dal vostro consulente seo, a partire da domani, se avete l’ambizione di perseguire politiche di search marketing di lungo periodo (e di sicuro successo).

Non più semplice rappresentazione o autorappresentazione aziendale, come il vecchio modello piatto della pubblicità verticale ha imposto in molti campi, offline e online.

Ma vero e proprio racconto pubblico d’impresa, soggetto a incessanti revisioni e stracolmo d’aneddoti e dettagli, capace di generare effettivi lettori e sostenitori, prima che ‘semplici’ clienti.

Se non si riesce a compiere questa rivoluzione d’intenti e di modelli si rischia di perdere davvero il treno del 2.0, in cui tutti sono (o possono essere) fruitori-creatori di contenuto e di senso pubblico.

Per un consulente web ottimizzare la narrazione pubblica d’impresa significa allestire una solida architettura di navigazione-fruizione dei contenuti e fornire allo stesso tempo quello scenario editoriale in cui dare vita al racconto di contesto, che sia in grado di inquadrare e valorizzare il prodotto promosso.

Misurando metriche sempre più complesse, sia chiaro, e intercettando l’inarrestabile maturazione del pubblico internet, che tra le altre cose vede nelle grandi piattaforme social ulteriori e infinite arene di riprova e conferma pubblica, sempre più necessaria proprio nella determinazione di acquisto da parte dei consumatori, semplicemente ‘avveduti‘ e/o – relativamente – moderni.

Come un direttore editoriale in formato digitale, il seo del futuro deve affacciarsi con viva curiosità ai tradizionali modelli della scrittura come professione iperspecializzata, sapendo cogliere dalla bell’arte della penna-che-scrive quegli strumenti e quelle leve che potranno fare la differenza, se sapientemente impiegate nei nuovi canali della comunicazione pubblica d’impresa.

Cerchiamo di dimenticare certe parole funeree e insensate – come la ‘keyword density‘ dei testi – e dichiariamo abolito da subito quel fantomatico seo-copywriting, che pure sarebbe facilissimo vendere per ‘buono’, se solo significasse qualcosa.

Proviamo invece ad ottimizzare il racconto, un bit dopo l’altro.

Curiamo l’allestimento e potenziamo la scenografia di contesto, limiamo la fotografia, rifiniamo le battute e il dialogo tra gli attori.
Teniamo acceso il monitor di regia per controllare accuratamente la scena.
Leghiamo persino i lacci delle scarpe al ragazzo dei pop-corn, che gira per la sala durante l’intervallo.

Non lasciamo al caso il nostro palcoscenico online, non improvvisiamo proprio sul più bello, quando le luci di sala si spengono e il sipario inizia a scorrere davanti alle prime file, nel suo velluto rosso scuro, lungo, che copre la vista cielo-terra occultando il palco.
Teniamoci sempre pronti a riprendere il manoscritto originale, se serve stravolgiamo copioni e rimescoliamo le parti; arrivando a volgere in commedia brillante anche il dramma più cupo, se proprio sarà necessario.

Iniziamo a raccontare storie, insomma.

Storie che funzionano, dentro e fuori l’algoritmo.

Storie che vincono e convincono negli occhi e nell’immaginario dei lettori, ben prima che nelle tasche dei clienti.

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storytelling aziendale

Questo spunto di riflessione personale non vuole evidentemente rinnovare alcuna eventuale querelle professionale tra scriventi di varia fattura, che eventualmente dovrebbero partire da analisi meno soggettive della mia, che faccio semplicemente il seo, per ripensare i propri ruoli e le proprie autorappresentazioni pubbliche alla luce delle nuove esigenze della comunicazione online, pubblicitaria e non solo.

Non di meno mi preme ringraziare in conclusione l’amica Annarita Faggioni, scrittrice presso Il Piacere di Scrivere nonché appunto blogger e copywriter freelance, con cui ho avuto modo di discutere nel corso di alcune recenti campagne seo, arrivando quindi direttamente o indirettamente a stimolare le mie fantasie in materia, riportate qui a grandi linee, con enorme approssimazione e scarso esercizio di sintesi.

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