Domain squatting e black hat seo
Gli spammers producono spam, è evidente. Ma che differenza passa tra lo spam puro e semplice e la cosiddetta ‘black hat seo‘?
Non credo esistano definizioni condivise in materia, e sono certo che non sarebbero sufficienti ad appagare i miei dubbi.
In prima istanza posso comunque azzardare una risposta parziale.
Tra hacking e spamming
Mentre lo spam è necessariamente evidente e ‘manifesto’, anche perchè utilizza tecniche invasive che letteralmente ingolfano i siti sottoposti ad attacco, le tecniche di seo black hat tendono ad utilizzare in maniera piuttosto riservata le falle degli algoritmi dei motori di ricerca, agendo il più possibile all’ombra, sfruttando trucchi e tecniche direi decisamente meno ‘note’ di quelle usate dagli spammers puri e semplici.
Il fatto che i seo dal ‘cappello nero’ siano più ingegnosi e meno invadenti degli spambot li rende migliori?
Probabilmente no.
Li rende decisamente più affascinanti, perchè un velo di mistero e un pizzico di ignoto fanno parte a pieno titolo della cybercultura che ha in buona parte edificato la cultura della Rete così come la conosciamo in questi anni.
Il seo ‘black hat’ sembra in qualche modo ricalcare la figura dell’hacker; ma applicato a Google stavolta.
Eppure – anche volendo mettere da parte gli inutili moralismi – dietro questa mitologica figura molto spesso si nascondono profili assai meno edificanti, che effettivamente non hanno nulla di che invidiare ai proprietari dei bot che ingolfano gli Akismet di tutto il mondo, ogni giorno.
Ma purtroppo proprio quell’alone di mistero contribuisce ad alimentare l’attrattività di figure che vorremmo realmente allontanare da un campo professionale che certamente non merita questo genere di associazione. La seo non ha nulla a che vedere con lo spam!
Personalmente credo che buona parte del successo di questa oscura definizione risieda proprio nel fatto che in realtà la stragrande maggioranza delle persone che ne parlano non sanno minimamente a cosa riferirsi, quando alludono a questi benedetti ‘trucchi seo’ miracolosi: il mito si alimenta in assenza di eroi, se volete.
Al di fuori degli spambot – che sono da spammer e basta – e dei mega-submitter automatici – secondo me anch’essi strumenti per fare spamming e niente di diverso… – i tanti che vanno cianciando di black hat seo non ci dicono effettivamente nulla di realmente praticabile per far ‘schizzare’ un sito ai vertici dei motori di ricerca.
Bene. Allora ho pensato di sputarlo io uno dei più tipici trucchi black hat.
Perchè se i trucchi iniziano a circolare allora perdono la loro efficacia, perchè i team anti-spam esistono e reagiscono.
Perchè se la black hat seo viene ‘rivelata’ perde la sua fascinosa aurea di mistero.
Personalmente non utilizzo i due trucchetti di cui parlo sotto, nè l’ho mai fatto.
Ma che si tratti di trucchi arcinoti è innegabile, quindi non credo di rompere le uove nel paniere di qualche amico o collega… nè assolutamente c’è alcun biasimo morale nel mio post.
Semplicemente la voglia di portare alla luce una tecnica oscura… ma fin troppo utilizzata, anche in Italia; ma chiamarla ‘tecnica’ mi sembra veramente troppo. Un ‘trucco’ paraculo, che funziona pure troppo bene.
Ma non c’è nulla di ingegnoso o di meritorio nei ‘trucchi’ di questo genere, nulla di affascinante.
Spero che questo mio piccolo contributo sia di stimolo per un diverso approccio al posizionamento, soprattutto per i più giovani che dalle definizioni misteriose – come la black hat seo – sono sempre molto atratti.
Se invece, al contrario, letto il post, qualcuno rimarrà ‘fulminato sulla via di Damasco’ e deciderà di applicare i due trucchetti sotto descritti… beh, peggio per lui/lei. Certamente non posso ritenermi responsabile solo per aver scritto una cosa che fanno in migliaia sul web (ma quasi nessuno lo dice).
Anche perchè fare domain-squatting a scopi seo non è certamente una novità per nessuno degli addetti ai lavori.
Gli aspiranti black hat seo (e futuri domain-squatters) sono avvisati: arrivate tardi, c’è una ressa incredibile davanti al bancone di GoDaddy!!
Domain squatting e abuso del redirect 301
L’utilizzo massivo di redirect 301 può sconfinare apertamente in tecniche di black hat seo ai limiti (e probabilmente oltre i limiti) del lecito. Abusi di redirect 301 vengono largamente compiuti anche da grandi aziende, centri media e singole web agency.
Molto semplicemente si procede con il rastrellamente massivo di domini ‘keyword rich’ per poi utilizzarli come redirect su un sito che si ha intenzione di ‘lanciare’ il più possibile, sfruttando in questo caso il valore semantico del network di nomi a dominio registrati.
Altri invece procedono con la registrazione di domini scaduti di recente, da cui contano di ereditare un discreto patrimonio di vecchi link in ingresso, ancora attivi.
Anche in questo caso l’uso (l’abuso) del redirect 301 trasferisce il ‘flux’ dei domini soggetti a questa peculiare forma di cybersquatting verso il sito del seo dal ‘cappello nero’ che ha sfruttato questo misero trucco. Questa ‘tecnica’ – semplice, relativamente economica e formalmente lecita sotto il profilo legale – è uno di quei tanto decantati ‘trucchi seo’ per il posizionamento istantaneo e miracoloso.
Ma è un artefizio che sconsiglio nella maniera più assoluta: come ogni forma di alterazione dei naturali risultati restituiti algoritmicamente dai motori di ricerca, anche questa tecnica ‘black hat’ potrebbe essere riconosciuta e assimilata ad altre forme di vero e proprio spamming, e come tale potrebbe portare ad una pesante penalizzazione del dominio che riceve i redirect e dell’intero network di ‘satelliti’.
D’altra parte se un ‘trucco’ è talmente diffuso da poterne discutere senza tema di smentite sul semplice blogghetto di un seo scadente come me… beh, è altrettanto plausibile credere che anche gli ingegneri anti-spam dei Search Engines abbiano avuto notizia del fenomeno, e che siano probabilmente già corsi ai ripari.